a cura degli avvocati Luciano Montemitro e Raffaele Toriaco
Premessa
Tra i compiti dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) vi è quello di predisporre schemi negoziali concernenti condizioni generali di contratto, utilizzati dagli istituti di credito nei rapporti con la clientela.
Lo schema negoziale per il contratto di fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus), redatto nel 2002, rappresenta indubbiamente quello più controverso.
La Banca d’Italia, la quale sino al 2006 ha svolto funzioni di Autorità garante della concorrenza e del mercato nel settore bancario, ha evidenziato l’esistenza di clausole restrittive della concorrenza.
In particolare, oggetto di critiche erano quelle 2, 6 e 8 dell’anzidetto schema contrattuale, le quali a parere dell’Autorità impongono al fideiussore oneri ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla disciplina ordinaria, privilegiando ingiustificatamente l’interesse delle banche. L’applicazione uniforme delle stesse impedisce, difatti, ai fideiussori di pattuire sul punto condizioni contrattuali più eque.
Brevemente, la clausola di reviviscenza (art. 2) stabilisce che il fideiussore deve “rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”; la clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. (art. 6) la quale, prevedendo che “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato”, tutela l’istituto di credito dalla sua eventuale inosservanza degli obblighi di diligenza; la clausola di sopravvivenza secondo la quale “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate” (art. 8).
Con il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 la Banca d’Italia ha dichiarato lo schema ABI contrario alla normativa antitrust (L. n. 287 del 1990) limitatamente alle summenzionate clausole. Nello specifico, ai sensi dell’art. 2, comma 2, dell’anzidetta legge «sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, (…)” e al successivo comma ne viene sancita la nullità.
Tuttavia, la disciplina antitrust glissa sulle conseguenze dell’illiceità dell’intesa a monte sui contratti «a valle». A causa dell’assenza di una previsione normativa espressa e di un uso continuo e diffuso nei contratti di fideiussione di tali clausole sono insorte numerose controversie e si è reso, pertanto, necessario chiarire se anche i contratti a valle fossero affetti da nullità e, in caso di risposta affermativa, se l’invalidità fosse limitata solo a alle clausole anticoncorrenziali o colpisse l’intero contratto.
I diversi orientamenti
Copiosa è la giurisprudenza sviluppatasi nel corso degli anni.
Secondo un primo orientamento dall’accertamento di un’intesa vietata ai sensi dell’art. 2 della L. 287/1990 non deriverebbe l’invalidità dei successivi contratti stipulati a valle, in quanto questi ultimi manterrebbero la loro autonomia. Pertanto, il pregiudizio derivante dalla condotta anticoncorrenziale potrebbe consentire alla parte di attivare soltanto una tutela risarcitoria, ma non quella “reale“, in considerazione del combinato disposto degli artt. 2 e 33 della L. 287/90, che sanciscono la sola nullità dell’intesa e il conseguente risarcimento del danno che dalla stessa derivi, ma non anche la nullità dei contratti stipulati sulla base dell’intesa.
Un secondo indirizzo affermatosi si pone nell’ottica della nullità totale e complessiva sia dell’intesa a monte, sia della successiva fideiussione a valle sul presupposto che essendo riconosciuta ipso iure la nullità delle intese, la stessa norma “non ha inteso dare rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione, anche successiva al negozio giuridico, la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza”.
Tuttavia, in contrapposizione a tale impostazione si è sviluppata, anche in netta prevalenza, una terza posizione, secondo la quale le fideiussioni riproduttive delle clausole anticoncorrenziali sarebbero nulle, ma non integralmente, bensì limitatamente a siffatte clausole, in quanto «[…] ai sensi dell’art. 1419 c.c., la nullità integrale del contratto in conseguenza della nullità di singole clausole si determina solo se risulta che i contraenti non avrebbero stipulato il contratto in mancanza di quelle clausole; il che non è né specificamente dedotto né dimostrato e, anzi, è da escludere, sul piano logico, trattandosi di clausole a favore della banca» (Cass., 13 febbraio 2020, n. 3556).
La posizione delle Sezioni Unite
Le SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione nel dirimere il contrasto giurisprudenziale, come innanzi, hanno aderito alla tesi della nullità parziale. Con il provvedimento del 30 dicembre 2021, n. 41994, gli Ermellini hanno enunciato il seguente principio di diritto: «I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.»
I Giudici del Palazzaccio, in primo luogo, hanno sin da subito chiarito che debba escludersi la idoneità della sola tutela risarcitoria, disgiunta da quella reale, in quanto il solo riconoscimento della prima non esplica un’efficacia dissuasiva nei confronti delle banche dal momento che non tutti i danneggiati agiscono in giudizio e non è, al contempo, sufficiente a tutelare il soggetto che subisce l’intesa anticoncorrenziale. Il riconoscimento di entrambe le tutele costituisce, inoltre, “un adeguato completamento del sistema delle tutele, non nell’interesse esclusivo del singolo, bensì in quello della trasparenza e della correttezza del mercato, posto a fondamento della normativa antitrust”.
In secondo luogo, secondo la Corte «nel caso di contratto di fideiussione che riproduce le clausole anticoncorrenziali dichiarate illecite, tra le diverse forme di tutela riconoscibili al cliente-fideiussore quella che nella fattispecie perviene a risultati più in linea con le finalità e gli obiettivi della normativa antitrust è l’ipotesi della nullità parziale”.
La declaratoria di nullità parziale delle clausole del contratto di fideiussione a valle tutela ambo le parti. In particolare, il cliente viene tutelato dall’eliminazione delle clausole vietate mentre la banca mantiene in vita la garanzia fideiussoria.
La nullità parziale risponde al principio di conservazione del negozio. Secondo l’art. 1419 c.c., infatti, la nullità della singola clausola (o di alcune clausole) non colpisce l’intero contratto se tale clausola è scindibile dal resto del negozio; la stessa si estende all’intero contratto solo nel caso in cui i contraenti dimostrino che non avrebbero concluso il contratto senza quella clausola colpita da nullità.
Questione controversa: la nullità parziale e le fideiussioni specifiche – risvolti procedurali
Nei contenziosi tra banche e garanti è emersa un’ulteriore questione della quale le Sezioni Unite, con la ormai nota sentenza, non si sono occupati direttamente, ossia la possibile estensione dei principi enunciati dai giudici di legittimità anche alle fideiussioni specifiche.
È opportuno rammentare brevemente la differenza che intercorre tra le due figure in esame.
Mentre la fideiussione omnibus si estende a tutte le obbligazioni del debitore garantito derivanti da future operazioni, quella specifica viene rilasciata a garanzia di una determinata operazione.
L’orientamento prevalente esclude che la nullità possa valere per una fideiussione specifica che riproduca le clausole dell’intesa vietate.
La ratio di tale esclusione risiede nel fatto che il provvedimento della Banca d’Italia del 2005 ha riguardato espressamente un modello negoziale di fideiussione omnibus e avendo lo stesso natura amministrativa non può trovare applicazione analogica alle fideiussioni specifiche.
Questa tesi, seppur prevalente in giurisprudenza, non convince del tutto e soprattutto lo scrivente.
L’autorità garante, infatti, non ha dichiarato restrittivo della concorrenza in sé lo schema delle fideiussioni omnibus, ma ha ritenuto restrittive della concorrenza esclusivamente le tre clausole esaminate in premessa.
La fideiussione, peraltro, è in realtà riconducibile ad un solo ed unico tipo legale di contratto ex artt. 1936 ss c.c., con o senza clausola omnibus.
L’esistenza di due tipi di garanzia legittimerebbe le banche ad utilizzare plurime fideiussioni non contenenti la clausola omnibus e riproduttive comunque delle clausole anticoncorrenziali (artt. 2, 6 e 8), aggirando in tal modo la normativa antitrust.
Secondo l’orientamento minoritario della giurisprudenza, è quindi possibile ottenere una declaratoria di nullità (parziale) fornendo, in giudizio, la prova che vi sia una uniforme applicazione dei modelli contrattuali utilizzati per le fideiussioni specifiche e che questa sia frutto di una intesa a monte.
Infatti, nel caso della fideiussione specifica non ci si può avvalere della prova privilegiata fornita dal suddetto provvedimento della Banca d’Italia e dell’inversione dell’onere della prova che comporta per le fideiussioni omnibus.
In altri termini, non sarà sufficiente dare atto della presenza delle clausole anticoncorrenziali contenute nello schema ABI anche nei contratti di fideiussione specifica, ma la violazione della normativa antitrust deve essere, in concreto, allegata e provata da chi intende farla valere in giudizio in conformità alla regola generale dell’onere della prova.
Onere che potrebbe essere assolto con la produzione in giudizio di numerose fideiussioni specifiche, provenienti da primari istituti di credito operanti a livello nazionale, finalizzata a dimostrare che ciascuna di esse presenta un contenuto sempre uguale e, soprattutto, sistematicamente comprensivo delle tre note clausole anticoncorrenziali, ossia un uso uniforme da parte delle banche, anche di diverse dimensioni, di un invariato schema di fideiussione specifica.
In buona sostanza, la produzione documentale deve essere idonea a provare:
- che l’intesa anticoncorrenziale, sanzionata dalla Banca d’Italia con riferimento alle fideiussioni omnibus, ha avuto concreta attuazione anche in relazione a quelle specifiche, riproduttive delle clausole del modello ABI ritenute illecite dall’Autorità Antitrust;
- che, pertanto, anche tali fideiussioni (specifiche) sono comprese nel raggio di azione del provvedimento antitrust di Banca d’Italia n. 55/05 e che, ove conformi allo schema ABI, sono nulle al pari delle “sorelle” cd. omnibus.
- che il censurato comportamento delle banche è perdurato nel corso degli anni ed è sostanzialmente ancora oggi in essere. Tanto che, successivamente all’intervento sanzionatorio/demolitorio della Banca d’Italia, malgrado anche l’elisione da parte dell’ABI nel relativo schema di fideiussione delle clausole giudicate illecite, la gran parte delle Banche ha continuato ininterrottamente a sottoporre alla clientela modulistica contenente sempre gli artt. 2, 6 e 8 dell’originario modello, perpetrando così l’intesa anticoncorrenziale.
Va aggiunto che nell’istruttoria di Banca Italia (nel corso del procedimento d cui al Provvedimento n. 55/05), è stato esaminato un campione di 7 (sette) banche che è stato – evidentemente – ritenuto sufficiente per radicare le conclusioni tratte dall’Autorità antitrust, sicchè la produzione in giudizio di un gran numero di fideiussioni specifiche, provenienti da decine di istituiti di credito diversi tra loro (sia pe dimensione che per sede geografica) dovrebbe essere ritenuto idoneo alla scopo.
Non va neppure dimenticato che alcuni giudici di merito (tra cui quelli del Tribunale meneghino sono stati i più prolifici), in accoglimento delle istanze dei clienti, hanno ordinato alle maggiori Banche di Italia o anche ad Istituti bancari di diverso dimensionamento, l’esibizione ai sensi dell’art. 210 cpc dei modelli standard di fideiussione utilizzati da ciascuno di essi nel periodo in cui sono stati stipulati i contratti di garanzia oggetto di contestazione.
Sulla base della documentazione acquisita, sono giunti a riconoscere che la valutazione già operata dall’autorità antitrust in riferimento allo schema di garanzia omnibus possa essere replicata anche per la fideiussione specifica (Trib. Milano, sent. n. 7526 del 2023; Trib. Cagliari, ord. 8 novembre 2023)
Pertanto, il dimostrato utilizzo uniforme di un modello contrattuale che “simultaneamente riproduca la clausola di reviviscenza, la deroga all’art. 1957 c.c. e la clausola di sopravvivenza – tutte clausole non strettamente funzionali all’erogazione del credito – ostacola la pattuizione di migliori clausole contrattuali, induce le banche a uniformarsi a uno standard negoziale che prevede una deteriore disciplina contrattuale della posizione del garante e quindi viola l’art. 2, comma 2, lettera a), legge n. 287/1990” (Trib. Milano, sent. n. 7526/23).