Concessioni demaniali marittime, UE avvia una (nuova) procedura d’infrazione contro l’Italia.

Il 4 dicembre 2020 la Commissione europea ha avviato l’ennesima procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia: in particolare, con una lettera di messa in mora, viene contestata l’incompatibilità della proroga automatica delle concessioni demaniali marittime del settore turistico-balneare fino al 2033 prevista dalla L. 145/2018 con il diritto europeo.

L’Italia dispone ora di due mesi per rispondere alle argomentazioni sollevate dalla Commissione, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di inviare un parere motivato.

Nella lettera di messa in mora, la Commissione afferma che la normativa italiana in materia sarebbe in contrasto sia con la direttiva europea Bolkestein 2006/123/CE sulla liberalizzazione dei servizi, nonché con la sentenza della Corte di Giustizia Europea ‘‘Promoimpresa’’ del 14 luglio 2016, che aveva già dichiarato l’illegittimità delle proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni balneari.

Per una puntuale analisi giuridica della posizione della Commissione, appare opportuno svolgere una preventiva quanto breve ricognizione del quadro normativo interno – piuttosto carente – sul quale è intervenuta la direttiva europea Bolkestein.

Innanzitutto, l’art. 36 del Codice della Navigazione prevede che i beni parte del demanio marittimo o le zone di mare territoriale possono essere oggetto di una concessione a termine ‘‘compatibilmente con le esigenze del pubblico uso’’.

L’abrogato comma 2 dell art. 37, invece, stabiliva che il concessionario uscente doveva essere preferito ad altri in occasione del rinnovo delle concessioni del demanio pubblico marittimo (cd. diritto di insistenza).

L’art. 1, comma 1, del d.l. 400/1993, relativo alla determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime, ha poi stabilito che tra le diverse ipotesi di concessione d’uso dei beni demaniali marittimi rientrano le concessioni d’uso per finalità turistico-ricettive.

Il comma 2 del medesimo articolo fissa in 4 anni la durata di tali concessioni, salvo che gli interessati abbiano espressamente richiesto una diversa durata.

L’art. 10 della L. 88/2001 ha novellato quest’ultimo comma e, facendo salvo il potere di revoca dell’amministrazione marittima, stabilisce che ‘‘le concessioni indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza’’.

In tale contesto, la l. 296/2006, cosiddetta “finanziaria 2007’’, ha modificato l’articolo 3 del d.l. 400/1993, prevedendo la possibilità della titolarità di concessioni demaniali marittime per una durata non inferiore a 6 anni e non superiore a 20 anni “in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni”.

Tale quadro normativo consentiva sostanzialmente ai concessionari di ottenere autorizzazioni perpetue, poiché essi riuscivano ad ottenere il rinnovo automatico della concessione, oppure potevano godere del diritto di insistenza durante i processi di selezione.

Tuttavia, tale disciplina risultava apertamente in contrasto con la direttiva europea Bolkestein.

Invero, l’art. 12 della direttiva promuove la selezione tra diversi candidati laddove un’autorità pubblica proceda ad affidamenti quali quelli aventi ad oggetto concessioni balneari.

In particolare, tale norma prevede che ‘’Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento (…) l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami’’.

Dunque, la direttiva Bolkestein vieta il rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime e non attribuisce alcun diritto di preferenza al concessionario uscente. Al contrario, invece, al fine di garantire trasparenza e parità di trattamento, impone di adottare procedure ad evidenza pubblica per consentire a tutti l’accesso alle concessioni.

In virtù di tali considerazioni, nel 2008 la Commissione aveva avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.

Per far fronte alle indicazioni europee, è intervenuto inizialmente il d.l. 194/2009 che da un lato aveva finalmente abrogato la disciplina del rinnovo automatico delle concessioni in scadenza, ma dall’altro lato aveva lasciato inalterata la disciplina del rinnovo automatico delle concessioni.

Anzi, tale intervento aveva disposto una proroga delle concessioni demaniali marittime fino al 31 dicembre 2015 al dichiarato scopo di garantire il legittimo affidamento dei concessionari e di predisporre una disciplina transitoria.

Il legislatore affrontò allora il problema con la l. 217/2011, delegando il Governo al riordino della materia.

La delega tuttavia non venne esercitata e, anzi, con d.l. 179/2012 fu disposta una nuova proroga delle concessioni fino al 31 dicembre 2020.

Tale misura è stata oggetto di due rinvii pregiudiziali, decisi dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nelle cause riunite C-458/14, Promoimpresa, e C-67/15, Mario Melis e altri.

In tale occasione, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità della normativa italiana contenente reiterate proroghe del termine di scadenza delle concessioni demaniali marittime con i principi comunitari della libertà di stabilimento, di non discriminazione e tutela della concorrenza.

Anzitutto, con tale pronuncia, la Corte ha opportunamente chiarito che la concessione di beni demaniali può essere qualificata come ‘’autorizzazione’’, ai sensi delle disposizioni della direttiva Bolkestein, in quanto si riferisce ad atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica.

Considerando che le concessioni oggetto della pronuncia pregiudiziale avevano ad oggetto risorse naturali, trattandosi delle coste marittime sarde e del lago di Garda, esse potevano trovare disciplina nella norma di cui all’art. 12 della direttiva Bolkestein.

Dunque, tali concessioni, rientrando nell’ambito dell’art. 12 della direttiva, dovevano essere sottoposte ad una procedura di selezione tra i candidati.

Pertanto, la Corte ha inevitabilmente dichiarato l’illegittimità delle proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni balneari, ribadendo la necessità di ricorrere ad un procedimento di selezione trasparente, imparziale e adeguatamente pubblicizzato.

Ciononostante, come già accennato, il legislatore italiano, con L. 145/2018, ha disposto un’ulteriore proroga di quindici anni delle concessioni demaniali marittime, che resterebbero in vigore fino al 31 dicembre 2033.

Per questo motivo, la Commissione europea ha deciso di avviare una nuova procedura d’infrazione evidenziando come il nostro paese non si sia conformato né alla direttiva Bolkestein né tantomeno alla sentenza della Corte di Giustizia del 2016, anzi ‘’da allora ha prorogato ulteriormente le autorizzazioni vigenti fino alla fine del 2033 e ha vietato alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l’assegnazione di concessioni, che altrimenti sarebbero scadute, violando il diritto dell’Unione. La Commissione ritiene che la normativa italiana, oltre a essere incompatibile con il diritto dell’UE, sia in contrasto con la sostanza della sentenza della CGUE sopra menzionata e crei incertezza giuridica per i servizi turistici balneari, scoraggi gli investimenti in un settore fondamentale per l’economia italiana e già duramente colpito dalla pandemia di coronavirus, causando nel contempo una perdita di reddito potenzialmente significativa per le autorità locali italiane’’.

Alla luce di questi recenti sviluppi, l’Italia non può più rimandare l’adozione di un’organica disciplina sull’intera materia delle concessioni demaniali marittime, che possa trovare un punto di equilibrio tra i diversi interessi in gioco.

Invero, appare evidente come la problematica fondamentale sia legata alla necessità di trovare un punto di equilibrio tra le istanze comunitarie, che richiedono l’adozione di procedure trasparenti ed imparziali, e gli interessi dei concessionari che hanno fatto degli ingenti investimenti confidando nella legittimità delle proroghe.

Inoltre, occorre tener conto di tutti quei concessionari che non avevano ancora richiesto la proroga fino al 2033: in effetti, alla luce del nuovo segnale proveniente dalla Commissione, i funzionari potrebbero non applicare la normativa interna perché in contrasto con la disciplina europea.

Dunque, sarebbe doveroso introdurre finalmente delle procedure ad evidenza pubblica che garantiscano da una parte il diritto alla concorrenza, la libertà di stabilimento e il libero accesso ai servizi e, dall’altra parte, gli investimenti dei concessionari uscenti.

Un punto di partenza potrebbe essere costituito senz’altro dal ddl Arlotti-Pizzolante che prevede l’istituzione di procedure di evidenza pubblica per le concessioni balneari, riconoscendo contestualmente il valore commerciale del concessionario uscente.

In tal modo, verrebbe concessa a tutti i cittadini la possibilità di ottenere le concessioni, premiando allo stesso tempo gli imprenditori virtuosi che in questi anni hanno investito sulle proprie attività garantendo alti standard di qualità dei servizi resi.