Le pene accessorie nel reato di bancarotta fraudolenta.

Con la sentenza n. 28910/2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto il contrasto
giurisprudenziale riguardante la quantificazione delle pene accessorie previste dall’art. 216 della
legge fallimentare, eliminando ogni automatismo sanzionatorio e facendo modo che le pene
accessorie, così come le principali, siano legittime solo se effettivamente proporzionate e
individualizzate sulla base dei criteri dell’art. 133 c.p.
Sulla base dell’art. 20 c.p. le pene accessorie appartengo alla categoria degli effetti penali della
condanna, cui “conseguono di diritto”. In relazione alla loro quantificazione in alcuni casi è il
legislatore a provvedervi con una loro determinazione; in altri casi, in base all’art. 37 c.p. – quando
la durata della pena accessoria non è espressamente indicata – la durata di questa è uguale alla
durata della pena principale inflitta.
Dubbi sorgono attorno alla locuzione “non espressamente determinata”. Due sono gli orientamenti
contrapposti: una corrente maggioritaria riteneva che la pena accessoria fosse espressamente
determinata quando il legislatore indicava la durata, per cui nei casi opposti – quando il legislatore
indicava solo il minimo o il massimo – doveva applicarsi la regola prevista dall’art. 37 c.p.
dell’automatica conformazione alla pena principale inflitta; la corrente minoritaria escludeva
l’applicazione dell’art. 37 c.p. quando il legislatore avesse preveduto un minimo o un massimo della
pena accessoria, per cui sarebbe spettato poi al giudice quantificarla sulla base dell’art. 133 c.p.
Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 6240/2014 con cui la Corte ha dato
seguito all’orientamento maggioritario affermando che per “espressamente determinata” debba
intendersi la pena fissata dal legislatore nella specie e nella durata senza alcun margine di
discrezionalità per il giudice.
Anche la Corte Costituzionale è intervenuta, dichiarando parzialmente illegittimo l’art. 216 l. fall, che
prevedeva la durata fissa dei dieci anni per le pene accessorie in contrasto sia con gli artt. 3 e 27,
comma 3 Cost. (principio di proporzionalità) sia con l’art. 27, comma 1 Cost. (principio di
individualizzazione del trattamento sanzionatorio). La durata fissa è stata, dunque, sostituita con la
previsione del massimo fino ai 10 anni. Si riteneva, tuttavia, applicabile la regola generale prevista
dall’art. 37 c.p., partendo dal presupposto che la pronuncia della Corte fosse vincolante solo nella
misura in cui prevedeva la illegittimità della misura fissa e ritenendo di dover commisurare le pene
accessorie previste dall’art. 216 l. fall. in misura pari alla pena principale, trattandosi di una pena
“non espressamente determinata”.
Le Sezioni Unite sono nuovamente intervenute sulla questione con la sentenza n. 28910/2019, con
cui hanno espresso un nuovo principio di diritto per cui “le pene accessorie per le quali la legge
indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai
criteri di cui all’art. 133 c.p.”.
dott.ssa Erika Martino