RESPONSABILITA’ PENALE EX D. LGS 231/2001 E TUTELA DEI LAVORATORI DAL RISCHIO CONTAGIO PER COVID 19

La necessità di proteggere i dipendenti dal rischio di essere esposti a contagio nello svolgimento delle proprie mansioni lavorative preoccupa e non poco gli operatori economici in vista della graduale riapertura delle aziende prevista per il mese di maggio. Un problema sul quale incide sia la previsione generale di cui all’art. 2087 c.c., sempre più norma in bianco, sia l’impellenza di attualizzazione del T.U. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D. Lgs. 81/2008), con inevitabili ricadute sulla responsabilità penale degli enti disciplinata dal D. Lgs. 231/2001. La propagazione del virus, il rischio contagio con conseguente ricorso a cure ospedaliere invasive, se non addirittura – nei casi più gravi e non rari – la morte, espongono il datore di lavoro al reato di lesioni personali colpose di cui all’art. 590 c.p. e all’omicidio colposo di cui all’art 589 c.p., con sanzioni amministrative per le aziende fino ad un massimo di 1.549.000 Euro ed il rischio ulteriore di misure interdittive applicabili anche in via cautelare nel corso del procedimento penale. L’annuncio da parte del Governo della programmazione della fase 2 contraddistinta dalla riapertura delle aziende a scaglioni, secondo dinamiche che dovrebbero comunque garantire il perseguimento degli obiettivi di contenimento della pandemia, pone dunque sul tavolo la necessità di un nuovo e più completo assetto delle regole di sicurezza sui luoghi di lavoro. Un presupposto indefettibile che si scontra però con una certa frammentazione normativa, contraddistinta da regole di condotta troppo vaghe e non sempre condivise, che finiscono per alimentare incertezza e timore nel datore di lavoro sopratutto ove, tramutandosi in un nuovo costo dai risultati incerti, possano dissuaderli dall’adottare le strategie di difesa necessarie incappando nelle responsabilità di cui all’art. 25 septies del D. Lgs.231/2001. Sul tema non sono mancati interventi chiarificatori, in tale senso le recenti misure introdotte dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri l’11 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”), cui si aggiunge il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” sottoscritto dalle organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro. Uno sforzo utile che però soffre ancora di una certa genericità, soprattutto ove la riapertura delle aziende, diverse per tipologia ed organizzazione, verrà avviata con un provvedimento legislativo al quale le aziende non potranno farsi trovare impreparate. Sul piano meramente penalistico, avendo riguardo ai meccanismi di esercizio dell’azione penale da parte del magistrato, non vi è dubbio che una certa evasività delle norme prescrittive non agevoli il suo compito, impedendo di fatto – proprio in assenza di un assetto codificato delle misure necessarie – ogni valutazione in ordine all’elemento psicologico della colpa, se non in presenza di macroscopiche irregolarità. Al magistrato spetta infatti il compito di valutare non solo l’effettività e puntualità delle misure di sicurezza implementate, ma anche la diligenza con la quale si è fatto fronte alle ipotesi di rischio in termini di prevedibilità ed evitabilità. Valutazioni ad oggi magmatiche stante le caratteristiche del virus che stiamo affrontando e la velocità di reazione del mondo scientifico ad esse. Non è certo però alla “caducità” dell’attuale assetto normativo in materia di Covid 19 che occorre guardare in questa fase al fine di veder minimizzati i rischi da responsabilità penale, quanto al rafforzamento della collaborazione tra datore di lavoro, responsabili della sicurezza sul lavoro (RSPP, RLS, Medico Competente, Preposti alle emergenze) e addetti al personale, al fine di aggiornare il documento di valutazione (DVR) dei rischi sì da implementare procedure di controllo sempre più stringenti, capaci di stimare in temi strettissimi l’adeguatezza delle misure a tutelare i dipendenti dal rischio contagio. Allo stesso modo vanno riconsiderate le dinamiche interne ad ogni azienda nei rapporti tra datore di lavoro ed organismi di vigilanza, cui spetta oggi una poderosa attività di circolazione informativa, capace di definire meccanismi di screening quasi giornaliero delle misure implementate, dando magari vita a vere e proprie Task Force capaci di aggiornare i DVR in sintonia con la velocità delle emergenze normative.

Di Gianluca Bocchino